Sei molto triste, e forse hai solo bisogno di soffrire per davvero. Qui muori solo di nostalgia, d'inutilità. Tra le lenzuola a pois, le persiane abbassate per metà, ad intravedere il tramonto sul parco e sulla tangenziale, a sentirti intimorita e in conflitto con persone che non conosci, puri estranei, con cui condividi lo spazio, a cui dai risorse, e da cui prendi qualcosa in cambio.
Stavi guardando i segreti domenicali di PostSecret, i segreti di chi vuole uccidersi, di chi ha disordini alimentari, di chi ha paura di invecchiare, di chi tradisce, mente, di chi è tradito e ingannato. Pensi che tutto questo, un po' di tutto questo, ti appartiene. Tutto questo dolore rende l'essere umano vivo, nel bene e nel male. Oggi leggevi di qualcosa che dicevi ieri, al telefono: la ragione è di chi sa che non c'è senso. Il resto sono illusioni mascherate, a cui si decide (o non si decide, lo si fa e basta) di aggrapparsi. Il tuo pessimismo non è pessimismo, è la domanda che ti fai da sempre, in mezzo alla gente: tutti, in fondo, sanno che non c'è senso? Vorresti essere sommersa di lettere, eppure non vuoi parlare con nessuno. Il silenzio ti ferisce, ma non puoi farne a meno: ti sei chiusa. Tutto o niente. Caos o rigor mortis. Follia o sigilli.
La tua pancia è dolente, il sesso o chissà cos'altro ha disordinato gli equilibri del tuo ventre, della tua mente. Medicine medicine medicine. Domani torna il non senso del lavoro, il circolo vizioso di far pochi soldi per spenderne tanti. E morire.
L'Ingegnere ti chiama, rimette tutto a posto, la tua insanità, la tua predisposizione al bilico. Ti ha raccontato di suo fratello, giorni fa, mentre eravate a letto. Dice che prova disgusto per la mente umana, alle volte, e che non ha mai raccontato delle crisi a nessuno. Io mi sono immaginata simile a questo suo consanguineo, al quale gli hai chiesto di dimostrare l'amore che sa e può dare. Non hai sentito nessuno per tutto il giorno, a parte i tuoi genitori che t'infastidisce sempre un po' sentire...
Poi, arriva la sera, e tutto, come prevedi, si realizza. Arriva Vik, arriva l'Ingegnere... arriva Amélie. Sepolta, arriva dalle sue ceneri, a risvegliare indifferenza, diffidenza, dissenso. Lei ti aveva tradito, l'hai scoperto a Natale, di ritorno dall'Ungheria: aveva detto al tuo ex delle tue storie dell'autunno del 2006. E lui, G., a Natale te lo ha raccontato. Perché vi stavate lasciando, e ti voleva dire che ti aveva perdonato anche quando ha saputo. La verità. Su di te. E tu hai continuato a dire che non era la verità, perché l'inganno quando non ha più senso, quando è radicato, non è più inganno, è niente.
Ti suona il cellulare e tu sei qui a ricostruirti. Tu hai detto che Amélie ha mentito, perché lei ce l'aveva con te, per la storia stupida di un ragazzo. E questa parte era vera: lei era stata incapace di accettare le avance che un suo frequentatore aveva fatto a te. E tu, nonostante eri cosciente del suo orgoglio enorme, glielo avevi raccontato solo per metterla in guardia. Solo perché per una volta ti era sembrato indispensabile essere vera, onesta, trasparente.
E da allora Amélie, la tranquilla, era definitivamente morta. Di una morte dolce, silenziosa. Cremata. Sapevi che avrebbe sofferto il tuo silenzio, anche per il suo compleanno, di pochi giorni fa. E ora: ti scrive. Pentita, racconta che il tuo ex, suo amico, era andato da lei, due bottiglie di vino in regalo, non sai se bevute o meno. Dice che lo aveva detto, sbagliando, in buona fede. Qual è la buona fede: la redenzione che voleva regalarti? La possibilità di essere salvata? Eravate vere, complici, tu, lei e Kate: questo credevi, o volevi credere, tu che non credi in niente. Tu che hai sempre sentito che era un'amicizia sbagliata, avversa, sessuata, ambigua, rivale. Perché c'era sempre qualcosa nell'aria, a cui tu non potevi attaccarti, che tu non potevi tirar fuori, perché tutto era "tranquillo", mentre tu... come sei... sembravi folle, e colpevole. Di retropensieri.
Credi che non risponderai niente, a questo sms tardivo e abortivo. Perché l'hai già perdonata, quando hai smesso di vederla, un annetto fa, ancor prima che tutto questo confermasse tutto. Non provi rabbia, perché capisci. Capisci i suoi sentimenti e le sue intenzioni: non gliene vuoi per questo, perché non si può opporre niente, a quanto emerge dalla testa di qualcuno. Ma è proprio per questo che non vuoi corruzioni, e contaminazioni, e un rapporto con il passato che per ora non puoi sopportare sulle spalle. In fondo hai solo aspettato come un avvoltoio di avere ragione. Hai aspettato la caduta. Siete incompatibili, punto.
La domenica sera è la tua sera. Un tuo ex collega di biblioteca ti cerca telefonicamente da un anno, ti alzi quando squilla il telefono e vedi che è lui anche adesso. Tu non rispondi, tu non hai nulla da dire. Tu gli piacevi, si vedeva, e lui era intelligente e ragazzino. Attraente, a modo suo. Ma non siete amici, non siete stati amanti, nulla. Cosa dire, perché? Tanto più a voce, a telefono. E pensare che nel pomeriggio hai sofferto di spleen e solitudine.
Ieri hai rivoluzionato gli spazi. Per accogliere un altro letto.
Stavi guardando i segreti domenicali di PostSecret, i segreti di chi vuole uccidersi, di chi ha disordini alimentari, di chi ha paura di invecchiare, di chi tradisce, mente, di chi è tradito e ingannato. Pensi che tutto questo, un po' di tutto questo, ti appartiene. Tutto questo dolore rende l'essere umano vivo, nel bene e nel male. Oggi leggevi di qualcosa che dicevi ieri, al telefono: la ragione è di chi sa che non c'è senso. Il resto sono illusioni mascherate, a cui si decide (o non si decide, lo si fa e basta) di aggrapparsi. Il tuo pessimismo non è pessimismo, è la domanda che ti fai da sempre, in mezzo alla gente: tutti, in fondo, sanno che non c'è senso? Vorresti essere sommersa di lettere, eppure non vuoi parlare con nessuno. Il silenzio ti ferisce, ma non puoi farne a meno: ti sei chiusa. Tutto o niente. Caos o rigor mortis. Follia o sigilli.
La tua pancia è dolente, il sesso o chissà cos'altro ha disordinato gli equilibri del tuo ventre, della tua mente. Medicine medicine medicine. Domani torna il non senso del lavoro, il circolo vizioso di far pochi soldi per spenderne tanti. E morire.
L'Ingegnere ti chiama, rimette tutto a posto, la tua insanità, la tua predisposizione al bilico. Ti ha raccontato di suo fratello, giorni fa, mentre eravate a letto. Dice che prova disgusto per la mente umana, alle volte, e che non ha mai raccontato delle crisi a nessuno. Io mi sono immaginata simile a questo suo consanguineo, al quale gli hai chiesto di dimostrare l'amore che sa e può dare. Non hai sentito nessuno per tutto il giorno, a parte i tuoi genitori che t'infastidisce sempre un po' sentire...
Poi, arriva la sera, e tutto, come prevedi, si realizza. Arriva Vik, arriva l'Ingegnere... arriva Amélie. Sepolta, arriva dalle sue ceneri, a risvegliare indifferenza, diffidenza, dissenso. Lei ti aveva tradito, l'hai scoperto a Natale, di ritorno dall'Ungheria: aveva detto al tuo ex delle tue storie dell'autunno del 2006. E lui, G., a Natale te lo ha raccontato. Perché vi stavate lasciando, e ti voleva dire che ti aveva perdonato anche quando ha saputo. La verità. Su di te. E tu hai continuato a dire che non era la verità, perché l'inganno quando non ha più senso, quando è radicato, non è più inganno, è niente.
Ti suona il cellulare e tu sei qui a ricostruirti. Tu hai detto che Amélie ha mentito, perché lei ce l'aveva con te, per la storia stupida di un ragazzo. E questa parte era vera: lei era stata incapace di accettare le avance che un suo frequentatore aveva fatto a te. E tu, nonostante eri cosciente del suo orgoglio enorme, glielo avevi raccontato solo per metterla in guardia. Solo perché per una volta ti era sembrato indispensabile essere vera, onesta, trasparente.
E da allora Amélie, la tranquilla, era definitivamente morta. Di una morte dolce, silenziosa. Cremata. Sapevi che avrebbe sofferto il tuo silenzio, anche per il suo compleanno, di pochi giorni fa. E ora: ti scrive. Pentita, racconta che il tuo ex, suo amico, era andato da lei, due bottiglie di vino in regalo, non sai se bevute o meno. Dice che lo aveva detto, sbagliando, in buona fede. Qual è la buona fede: la redenzione che voleva regalarti? La possibilità di essere salvata? Eravate vere, complici, tu, lei e Kate: questo credevi, o volevi credere, tu che non credi in niente. Tu che hai sempre sentito che era un'amicizia sbagliata, avversa, sessuata, ambigua, rivale. Perché c'era sempre qualcosa nell'aria, a cui tu non potevi attaccarti, che tu non potevi tirar fuori, perché tutto era "tranquillo", mentre tu... come sei... sembravi folle, e colpevole. Di retropensieri.
Credi che non risponderai niente, a questo sms tardivo e abortivo. Perché l'hai già perdonata, quando hai smesso di vederla, un annetto fa, ancor prima che tutto questo confermasse tutto. Non provi rabbia, perché capisci. Capisci i suoi sentimenti e le sue intenzioni: non gliene vuoi per questo, perché non si può opporre niente, a quanto emerge dalla testa di qualcuno. Ma è proprio per questo che non vuoi corruzioni, e contaminazioni, e un rapporto con il passato che per ora non puoi sopportare sulle spalle. In fondo hai solo aspettato come un avvoltoio di avere ragione. Hai aspettato la caduta. Siete incompatibili, punto.
La domenica sera è la tua sera. Un tuo ex collega di biblioteca ti cerca telefonicamente da un anno, ti alzi quando squilla il telefono e vedi che è lui anche adesso. Tu non rispondi, tu non hai nulla da dire. Tu gli piacevi, si vedeva, e lui era intelligente e ragazzino. Attraente, a modo suo. Ma non siete amici, non siete stati amanti, nulla. Cosa dire, perché? Tanto più a voce, a telefono. E pensare che nel pomeriggio hai sofferto di spleen e solitudine.
Ieri hai rivoluzionato gli spazi. Per accogliere un altro letto.
2 commenti:
ciao! volevo ringraziarti... giuseppe
:) ciao.
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